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venerdì 7 febbraio 2014

Andre Agassi - "Open"

Autore: Andre Agassi
Titolo: "Open"
Edizione: Einaudi Stile Libero
Anno: 2011

Devo ammettere di non essere un grande fan delle biografie e delle autobiografie. Soprattutto non sono un grande fan di quelle dedicate agli sportivi, nonostante nell’ultimo periodo sembrino spopolare.
È, dunque, con più di qualche dubbio e pregiudizio che ho preso in mano “Open” di Andre Agassi, nonostante i tanti bei commenti che ho letto in giro (anche da parte di amici) e nonostante sapessi che il ghost-writer dietro a questo libro fosse tutt’altro che uno sprovveduto, avendo vinto il premio Pulitzer.
Ma cosa era a preoccuparmi?
Principalmente di trovarmi di fronte a una noiosa e sterile cronistoria delle fasi salienti della vita e della carriera dell’ennesimo uomo di sport.
Non potevo sbagliarmi di più.
Il merito, probabilmente, non è solo di J. R. Moehringer ma anche, e soprattutto, del protagonista del libro: Agassi, infatti, non è un uomo di sport come tanti altri.
Dopo averlo terminato non mi son dunque sorpreso che avesse avuto il successo che ha avuto, che sia diventato un piccolo fenomeno editoriale, sia in Italia che all’estero. Gli elementi che fanno funzionare un libro ci sono tutti e sono gli stessi dei grandi best-sellers di narrativa, solo che questa volta sono veri.
Il protagonista, fin da piccolo, è un prescelto. Un prescelto dal padre, che ha deciso dovrà diventare, che lo voglia o no, il tennista numero uno al mondo. Dunque via con gli allenamenti fin dalla più tenera età. Ore e ore a palleggiare contro un mostro meccanico spara-palle soprannominato “il drago”. Niente scuola, è solo tempo perso e rubato agli allenamenti. E poi partite, partite e partite. Contro ragazzini della stessa età, più grandi e perfino adulti, contro avversari sempre più bravi, per poter migliorare.
Un prescelto, dunque, come nella migliore tradizione della narrativa fantasy, ma un prescelto ancora acerbo, che, in realtà, ancora non sa neanche chi è. Con tanti dubbi, domande e paure. Una sola certezza: l’odio per il tennis.
“Open”, dunque, diviene non solo la narrazione degli eventi e dei match della vita di Agassi, diviene un romanzo di formazione, di crescita. La crescita del protagonista, certamente, con la sua ricerca di sé stesso attraverso mille e più tentativi (di pettinatura, estetici, ma anche matrimoniali), il più delle volte andati a vuoto. Ma è leggendo quelle pagine, imparando ad apprezzare la persona dietro lo sportivo, con le sue fragilità, le sue incongruenze (può, colui che aveva le convulsioni all’idea di andare a scuola, diventare il filantropo che sogna di inondare di scuole tutta l’america?), che anche il lettore cresce e, forse, impara anche qualcosa su di sé.
Pur apparendo il classico “libro del momento” (quindi destinato a sparire appena cambia la moda), pur sembrando l’ennesima biografia di uno sportivo con il solo scopo di rubare spazio sulla mensola della libreria, “Open” è tutt’altro. È un libro che merita certamente una lettura: primo perché è scritto veramente bene (a questo riguardo non fidatevi di me, fidatevi del curriculum vitae del signor Moehringer che l’ha scritto), secondo perché riesce a lasciare qualcosa.
Oggigiorno sembra diventato raro trovare romanzi o volumi in grado di farlo. Anche tra i cosiddetti mattoni, quei libri pesantissimi che promettono di avere le risposte alle domande dell’esistenza, alla vita, l’universo e tutto quanto, è raro riuscire a trovarne uno che sia in grado di lasciare davvero il segno. Perfino tra quelle storie tragicissime che dovrebbero insegnare qualcosa al lettore. Il più delle volte il segno finiscono per lasciarlo solo nel portafogli e sul calendario, per il tanto tempo speso (o sprecato) per riuscire ad arrivarci faticosamente in fondo.
“Open”, invece, lascia il segno, e potreste anche trovare molto divertente il modo in cui lo fa.

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