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venerdì 26 giugno 2015

Nevil Shute - "L'Ultima Spiaggia"

Autore: Nevil Shute
Titolo: "L'Ultima Spiaggia"
Edizione: Mondadori - Urania Collezione
Anno: 2015

"L'Ultima Spiaggia" è un libro importante, giustamente considerato come uno dei classici della narrativa del dopo-bomba, che lascia un senso di vuoto difficile da colmare.
Il motivo, però, cambia a seconda del lettore.
Chi si fosse, forse un po' incautamente, accostato a questo romanzo di Nevil Shute attendendosi un storia avventurosa, una vicenda al cardiopalma su come l'equipaggio di un sommergibile tenti disperatamente di trovare una via di fuga, un'insperata salvezza per un genere umano apparentemente condannato all'estinzione dalle conseguenze di una guerra nucleare mondiale, sarebbe rimasto certamente deluso. Il senso di vuoto sarebbe assolutamente palpabile e giustificato.
Il motivo è semplice: non solo non è di questo che parla questo libro, ma non è neanche lo scopo con cui è stato scritto.
Shute non ci vuole raccontare una vicenda di "semplice" intrattenimento né, tanto meno, usare il libro per mandarci un messaggio e insegnarci qualcosa. Non si tratta neanche di una allegoria o una metafora dell'oggi, come tanti altri volumi di fantascienza.
"L'Ultima Spiaggia", in realtà, è una cronistoria: lenta, imparziale, senza inutili sentimentalismi, della fine. I personaggi del libro, seppur in alcuni casi appena abbozzati, riescono a risultare vividi, reali, perché pieni di difetti e, in alcuni casi, fissazioni.
Come reagiremmo noi se avessimo la certezza che più nulla si può fare? Che la fine avanza senza speranza per tutti? Che rimane poco tempo per fare tutto ciò che non abbiamo mai fatto prima?
Sono queste le domande che sembrano spingere avanti il libro e, leggendolo, viene facile pensare che, probabilmente, gran parte di noi si comporterebbe esattamente come i personaggi. Si cercherebbe di realizzare un ultimo grande sogno, magari, o ci si lascerebbe andare a qualche pazzia. Ma probabilmente sarebbero attività che ci stancherebbero ben presto e, prima o poi, si tornerebbe a concentrarsi su ciò che è più importante per noi.
Certo, qualche anno è passato da quando Shute ha dato alle stampe il suo romanzo per la prima volta, tanta acqua è passata sotto i ponti e anche le persone sono cambiate. Scritto oggi, lo stesso libro darebbe decisamente più spazio a scene generalizzate di caos e anarchia, con un governo ormai del tutto inutile e l'ordine civile scomparso, mentre il nostro autore ha una visione decisamente più ordinata e distinta della popolazione, come se tutti fossero perfetti gentleman e si comportassero come tali fino alla fine. Eppure, fatto salvo un certo modo di pensare ormai chiaramente superato (non migliore o peggiore, solo non più diffuso), pur dopo tanto tempo la forza del libro rimane immutata.
Con la sua prosa semplice, eppure efficace, i suoi personaggi tanto normali, tanto comuni, da poter esser noi stessi, le sue descrizioni delle attività di tutti i giorni, riesce a toccare le corde dell'animo umano. Il risultato è che, anche se non ce ne accorgiamo, comincia a scavarci dentro, per andare sempre più a fondo e, quando abbiamo finito, tutto ciò che ci lascia è un gran vuoto dentro.

mercoledì 10 giugno 2015

George R. R. Martin - "Il Banchetto dei Corvi"

Autore: George R. R. Martin
Titolo: "Il Banchetto dei Corvi"
Edizione: Mondadori - Urania Grandi Saghe
Anno: 2010

Con "Il Banchetto dei Corvi", quarto volume del Ciclo del Ghiaccio e del Fuoco di Martin, facciamo la conoscenza di qualche nuovo "punto di vista". In alcuni casi personaggi nuovi, in altri casi personaggi che avevamo già incontrato nel percorso fino a qui, ma che, divenendo narratori, si svelano a noi sotto nuovi aspetti. Martin ci ha abituato, spesso, a come vedendo il mondo di Westeros con occhi diversi, cambi anche la percezione di cosa è giusto e cosa è sbagliato, al punto da riuscire a rendere comprensibili, quando non completamente accettabili o giustificabili, anche atti e scelte che fino a poco prima ci apparivano mostruosi. Così come alcuni fatti, narrati da un punto di vista o dall'altro, appaiono completamente diversi, proprio perché differente è il giudizio che ne dà colui che racconta, che quindi, implicitamente, tende a mostrare una verità differente.
Proprio in questa caratteristica, in questo totale relativismo della storia e dei personaggi, risiede una delle armi migliori dell'autore. Nulla è assoluto, poche sono le cose su cui tutti concordano.
Ma questo filtrare ogni vicenda attraverso gli occhi di un personaggio diverso, con il suo carattere specifico, le sue idee, le sue convinzioni e credenze, nonché le sue ambizioni e sogni, fa sì che non solo tutto il libro (e di riflesso tutta la saga) acquisisca automaticamente un livello in più di interesse, rispetto a una narrazione prettamente lineare, ma dona un enorme spessore proprio ai protagonisti che popolano questo mondo.
Un esempio lampante è stato, fin dal volume precedente, quello del personaggio di Jaime Lannister: trasformato da soggetto bidimensionale a protagonista a tutto tondo (non a caso ben presto divenuto uno dei preferiti dai lettori). Qualcosa di simile accade anche in questo "Il Banchetto dei Corvi", in cui a subire un approfondimento simile è la sorella gemella di Jaime: Cersei. Purtroppo per lei, però, vi è ben poco a cui aggrapparsi per farla risultare simpatica: nonostante i torti subiti, principalmente per il solo fatto di essere una donna in un mondo estremamente maschilista, non si riesce a parteggiare per lei. Le sue scelte estremamente egoiste, il suo atteggiamento sprezzante e di superiorità nei confronti di chiunque la circondi, la sua miopia delle conseguenze, ogni volta che prende una decisione, fanno sì che acquisisca certamente molto spessore, ma che divenga perfino più antipatica di prima.
Ma perché concentrarsi tanto, in questa recensione, su Cersei?
Principalmente perché è al suo punto di vista che viene demandata buona parte della narrazione di questo libro. Qualcosa di interessante accade a Dorne, Samwell vive le sue avventure, qualcuno ci lascia per sempre, Jaime sembra finalmente stia imparando a usare la testa, invece della spada per risolvere i problemi, Brienne si impegna in una ricerca forse infinita e senza speranza, Ditocorto prosegue con i suoi intrighi garantendosi gradualmente sempre più potere e molte, pessime, decisioni vengono prese dalle parti di Approdo del Re. Tanti piccoli colpi di scena punteggiano il libro e rendono la lettura sempre appassionante, ma in generale si ha l'impressione che questo sia un po' un volume di passaggio, in cui preparare il terreno per qualcosa che deve venire.
Certamente anche la scelta di suddividere i personaggi tra questo e il successivo (La Danza dei Draghi), non ha certo aiutato. Molto, tra l'altro, si potrebbe dire sull'effettiva utilità di questa decisione. A detta di Martin, infatti, ha preferito inserire metà dei personaggi per raccontare tutta la storia di ognuno di loro, invece che metà storia di tutti. Peccato che, come sempre è accaduto fino a ora, non vi sia alcun inizio e alcuna fine (se non con la morte) per i personaggi, ma solo un continuo scorrere che, per comodità, viene ripreso e interrotto poco prima o poco dopo. In questo caso, inoltre, non vi è neanche un grosso evento come una battaglia o la morte di un protagonista, a poter fare da spartiacque.
Probabilmente, dunque, se Martin avesse continuato come fatto fino a ora, portando avanti le vicende di tutti i personaggi (magari anche limitando un po' i pensieri ripetitivi e ridondanti di Cersei, per quanto utili a farne capire l'atteggiamento ossessivo), mescolando così quarto e quinto volume, ne sarebbe uscito un libro migliore. Anche così, però, è sicuramente una lettura consigliata a tutti gli appassionati della saga.